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Lavorare come rider nel Regno Unito

Pubblicato/aggiornato: 26 Febbraio 2021

Abbiamo intervistato Damiano, giovane rider italiano residente nel Regno Unito, il quale ci ha raccontato vari aspetti di questo mestiere.

Perchè hai iniziato a fare il rider?
Ho deciso di lavorare come rider in quanto così sono libero da qualsiasi tipo di pressioni e mi posso autogestire, senza che ci sia qualcuno a dirmi continuamente quello che devo fare e come lo devo fare.  

Qual è l’aspetto più brutto di questo lavoro?
Le condizioni climatiche, anche se poi dipende dal mezzo che si utilizza. Io inizialmente utilizzavo la bici normale e una volta non sono riuscito a consegnare un ordine proprio perchè c’era una pioggia fortissima ed il luogo in cui dovevo effettuare la consegna era a circa 10km di distanza.
 
Com’è una tua giornata lavorativa tipo?
Per prima cosa controllo quanta richiesta di consegne c’è in quel momento e in quale zona è più elevata, in modo da decidere se vale la pena uscire di casa e dove mi conviene dirigermi. Se ti trovi vicino ad un fast food, ad esempio, sicuramente riceverai diversi ordini da consegnare. 
Io di solito esco di casa la mattina presto in quanto utilizzo una bici elettrica a noleggio e se non mi muovo per tempo, rischio di non trovare più bici a disposizione. Il numero di ordini ovviamente è più elevato durante l’ora di pranzo e quella di cena, ma ce ne sono abbastanza anche nel pomeriggio. 
 
Ti è mai capitato di non essere riuscito a consegnare un ordine?
Mi è capitato una volta di non riuscire a consegnare un ordine in quanto su maps il luogo di destinazione era indicato in maniera errata e non sono riuscito a trovare il cliente. Sono stato costretto a chiamare l’assistenza e a spiegare il problema.
 
Come si relazionano con te i clienti?
I clienti sono sempre molto gentili e se sei rapido nella consegna sono molto più soddisfatti. Delle volte oltre alla mancia che ti viene data tramite la app, alcuni clienti ti danno una mancia aggiuntiva in cash, soprattutto se magari ti vedono un po’ più affaticato per via della strada percorsa in bici.
 
Come ha cambiato questo settore la pandemia?
Gli orari di apertura dei ristoranti sono stati ridotti: prima c’erano dei ristoranti che restavano aperti fino all’una di notte, mentre i fast food facevano orario continuato, 24 ore su 24, ora invece nessuno rimane aperto oltre la mezzanotte. 
Anche se ora possiamo lavorare per meno ore, però, i guadagni non sono diminuiti in quanto è aumentata la richiesta di delivery.
  
La paga è buona?
Il pagamento viene fatto in base dalla distanza percorsa per la consegna di un ordine: più il punto di consegna è lontano, maggiore è la paga. Solitamente lavoro circa 8-9 ore al giorno e riesco a guadagnare nei weekend anche 100 pound al giorno, mentre durante la settimana, dal luned’ al giovedì, il guadagno giornaliero è di circa 70-75 pound.
 
C’è qualche aspetto di questo lavoro che secondo te dovrebbe essere migliorato?
Dovremmo avere un vero e proprio contratto, in modo da essere maggiormente tutelati e coperti da un'assicurazione per quanto riguarda il rischio di incidenti ed infortuni.
 
Ci racconti un aneddoto divertente e uno spiacevole che ti è capitato?
Con la situazione che stiamo vivendo ora, molte persone non hanno voglia di uscire e richiedono la consegna a domicilio di prodotti acquistati da negozi che si trovano anche dietro l’angolo. Una volta mi è capitato di dover consegnare la spesa ad un cliente che abitava a 500m dal supermercato
Per quanto riguarda un episodio spiacevole, invece, una volta mi è capitato di essermi recato in un ristorante per ritirare un ordine che però era già stato consegnato ad un altro, in quanto a volte può capitare che non venga chiesto al rider il numero dell’ordine di riferimento perchè magari è l’unico presente all’interno del locale e quindi viene dato per scontato che l’ordine appena preparato sia destinato a lui. La maggior parte delle volte, però, il ristorante chiede al rider di fargli vedere l’accettazione dell’ordine e di confermare davanti a lui il ritiro. 
  • Scritto da Dora Bortoluzzi,
    26 Febbraio 2021